Geografia Italia Territorio Storia Economia della Puglia.
GEOGRAFIA - ITALIA - PUGLIALecce(98.974 ab.). La città di Lecce, capoluogo del Salento, sorge in una zona pianeggiante a 12 km dalla costa adriatica. Lo stile del Barocco salentino, diverso da quello romano o napoletano, dà alla città un aspetto assolutamente peculiare. L'originalità e l'opulenza architettonica del centro storico sono il risultato anche dell'impiego della pietra locale, un calcare leggero e facilmente lavorabile il cui colore bianco si arricchisce di una calda sfumatura dorata al contatto con l'aria. La presenza di un tale complesso unitario di tesori artistici ha valso a Lecce l'appellativo di "Firenze del Barocco", coniato nel XIX secolo dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius. Dal punto di vista economico, Lecce è un centro agricolo-commerciale (olio, vino, cereali, frutta, tabacco, ortaggi) e industriale (industrie del tabacco, enologiche, molitorie, olearie, vetrarie).STORIA. Le radici dell'abitato di Lecce affondano in epoche remote, come testimonia il ritrovamento in città di alcune tombe messàpiche. Al tempo dei Romani Lupiae fu dapprima municipio e poi colonia grazie all'imperatore Marco Aurelio, nato da queste parti. Dal toponimo sembra derivare anche la figura della lupa che campeggia nello stemma cittadino. Dopo la caduta dell'Impero Lecce subì al pari di altri centri le invasioni barbariche e decadde, anche a causa della guerra tra Longobardi e Bizantini. Nell'XI secolo venne assegnata al catapano bizantino di Bari e conobbe un periodo di ripresa, anche se il suo rilancio fu condizionato dal parallelo sviluppo di òtranto, città favorita dai Bizantini fino a diventare il centro più importante dell'intera area, allora detta appunto Terra d'òtranto. Con l'arrivo dei Normanni, nel 1069, Lecce diventò contea e vi si cominciarono a insediare ordini religiosi - soprattutto Benedettini - con il preciso scopo di soppiantare l'egemonia culturale di Costantinopoli; sorsero così chiese e monasteri di chiara influenza occidentale, come Ss. Nicolò e Cataldo e S. Maria di Cerrate. La dominazione sveva non lasciò tracce particolarmente significative sulla città, mentre con gli Angioini Lecce intraprese la sua ascesa economica e politica, grazie ai commerci con la Repubblica di Venezia e l'azione delle potenti famiglie dei Brienne e degli Enghien, una crescita mai più interrotta, grazie anche alla progressiva decadenza della "rivale" òtranto. Nel 1463 la città entrò a far parte del regno di Napoli e arrivò al culmine della sua potenza divenendo il centro dei traffici commerciali del basso Adriatico e raggiungendo un considerevole benessere economico. Agli Aragona si deve un riassetto urbanistico di Lecce, che venne dotata di mura e torri fino alla costa, a difesa dalle invasioni musulmane verificatesi da fine Quattrocento fino alla battaglia di Lèpanto (1571). Grazie a Carlo V Lecce ebbe una vera e propria riorganizzazione urbanistica, che le conferì l'aspetto che ancora oggi la caratterizza. Nel Seicento la diffusione di potenti ordini religiosi (Teatini e Gesuiti), successiva al concilio di Trento, determinò l'affermazione di uno stile barocco originale rispetto alla scuola romana e napoletana. Da un punto di vista artistico, sono proprio il Seicento e il Settecento i secoli che hanno formato indelebilmente l'immagine della città, il cui centro storico presenta un'omogeneità di stile che lo rende un caso pressoché unico nel panorama artistico italiano. Nel 1860, dopo la formazione di un governo provvisorio che depose i Borboni, Lecce venne annessa al Regno d'Italia e cominciò ad essere oggetto di interventi di edilizia civile per dotarla delle necessarie infrastrutture. Nella prima metà del XX secolo la stessa piazza principale della città è stata notevolmente alterata a causa, dapprima, degli scavi archeologici, poi per l'abbattimento dei circostanti edifici sei-settecenteschi per far posto alla costruzione di nuovi palazzi. A questi stravolgimenti del nucleo storico ha corrisposto, nel corso del XX secolo, l'espansione dell'abitato oltre le mura con la creazione di anonimi quartieri residenziali. ARTE. Il borgo antico di Lecce, racchiuso nel perimetro delle mura cinquecentesche, ha mantenuto l'uniformità stilistica nel corso dei secoli, e il colore dorato delle costruzioni dovuto alla pietra leccese gli conferiscono un fascino singolare. Anche gli edifici religiosi del periodo normanno, come la Cattedrale e la chiesa dei Ss. Nicolò e Cataldo, vennero rifatti nel corso dei secoli XVII e XVIII. In quell'epoca ben oltre 40 chiese sorsero o furono ristrutturate. Dopo la rivolta di Masaniello (1647) e il ritorno degli spagnoli a Napoli, Lecce diventò un vero e proprio cantiere edilizio: maestri come Giuseppe e Francesco Antonio Zimbalo, Giuseppe Cino, Mauro Manieri, sostenuti da vescovi-mecenati, diedero un contributo essenziale all'affermazione del gusto barocco. Fu un tripudio originale e geniale di decorazioni, che nel XVIII secolo si spinse fino ai toni di un raffinato rococò. Ma il centro storico di Lecce racchiude anche le testimonianze della città romana e pre-romana: una necropoli messàpica è stata individuata al di sotto dell'anfiteatro, risalente probabilmente al periodo dell'imperatore Adriano. Scoperto agli inizi del Novecento, l'imponente anfiteatro romano è di forma ellittica e con doppio ordine di gradinate (in gran parte rifatte); scavato nel tufo, misurava 102x83 metri e poteva contenere forse 20.000 persone. L'anfiteatro era ornato da un parapetto con fascia marmorea ricco di rilievi raffiguranti combattimenti fra uomini e leoni, tori e orsi, in parte sparsi nell'arena, in parte conservati nel Museo "Sigismondo Castromediano". Nello stesso Museo si possono ammirare anche le statue marmoree che decoravano il muro della cavea del teatro romano, scoperto a poca distanza dall'anfiteatro. Realizzato nella prima metà del II secolo, il teatro è di piccole dimensioni (40 metri il diametro esterno della cavea) e poteva forse contenere 5.000 spettatori. D'età romana è anche la colonna di S. Oronzo, per la quale fu utilizzato uno dei signacoli che a Brindisi indicavano il punto terminale della Via Appia; in cima alla colonna, innalzata nel Seicento in ringraziamento per lo scampato pericolo da un'epidemia di peste, è la statua del santo protettore di Lecce. L'edificio storico più famoso e rappresentativo della città, capolavoro del Barocco leccese, è la basilica di Santa Croce. La struttura generale e la parte inferiore della facciata sono dovute a Gabriele Riccardi, che cominciò a lavorare intorno al 1549 su un più antico luogo di culto; a Francesco Antonio Zimbalo si devono il protiro e i portali laterali (1606), a Cesare Penna la parte superiore della facciata. Come riporta un'incisione sul tamburo della cupola, l'interno fu completato nel 1590, mentre l'edificio fu ultimato dopo quasi un secolo e mezzo. La facciata della basilica, scandita da sei colonne a fusto liscio, è ricchissima di decorazioni soprattutto nella parte alta, dove la balaustra è affollata da 13 putti abbracciati ai simboli del potere spirituale e temporale; il rosone di ispirazione romanica ha un'elaborata ghiera barocca. Il luminoso interno, in cui si riconosce la lezione del Brunelleschi, è diviso in tre navate da file di colonne con capitelli finemente scolpiti (volti degli apostoli); la navata maggiore è coperta da un seicentesco soffitto ligneo a lacunari. Di particolare bellezza e ricchezza decorativa gli altari, specie quello dedicato a S. Francesco di Paola (1614), opera dello Zimbalo, arricchito da 12 superbi bassorilievi raffiguranti Episodi della vita e miracoli del santo. Uno scenografico spazio barocco è costituito da piazza del Duomo, aperto alla città solo nel 1761 e composto dall'omonima chiesa, dal Palazzo vescovile e dal Seminario, tra i maggiori edifici del Barocco leccese. Il Duomo fu costruito da Giuseppe Zimbalo sul primo luogo di culto, eretto dal vescovo Formoso intorno al 1100. Oltre alla facciata principale, dove si apre un portale in bronzo realizzato per il Giubileo del 2000, la chiesa presenta un altro prospetto - laterale rispetto all'orientamento della chiesa - in stile barocco per l'esuberanza della decorazione, che culmina nella statua di S. Oronzo racchiusa in un arco trionfale. A Giuseppe Zimbalo si deve anche il campanile a cinque piani, di cui l'ultimo formato da un'edicola ottagonale a cupola con vasi fioriti a mo' di pinnacoli. L'interno del Duomo è a croce latina su tre navate e con soffitto ligneo a cassettoni; i preziosi altari in pietra leccese sono opera di Giuseppe Cino e Cesare Penna. La chiesa custodisce preziosi dipinti di Oronzo Tiso (Sacrificio di Noè dopo il diluvio, Assunta e Sacrificio del profeta Elia) e un Presepe, opera scultorea di Gabriele Riccardi. Il Palazzo vescovile, documentato fin dal Quattrocento, è però frutto di un rifacimento settecentesco; presenta un alto basamento bugnato e un arioso loggiato ad archi, e custodisce al centro, in alto, uno dei primi orologi pubblici di Lecce. Il Seminario, opera in parte di Giuseppe Cino, è ornato da un bugnato liscio che richiama il Palazzo del Governo, da belle finestre laterali e da un'elegante loggia a tre archi. Al centro del cortile interno è un pittoresco pozzale, riccamente decorato, pure del Cino; nel palazzo ha sede la Biblioteca Innocenziana, ricca di volumi rarissimi. Ancora a Giuseppe Cino si deve la decorazione, nel più sontuoso stile barocco, del secondo piano del Palazzo del Governo, mentre il primo piano è da attribuirsi a Giuseppe Zimbalo. Il Palazzo - sede della Prefettura e della Provincia - è l'ex convento dei Celestini, eretto nel 1659. Poco più avanti, il Palazzo Adorno è uno dei più fastosi esempi di architettura civile cinquecentesca. Tra i numerosissimi luoghi di culto che sono espressione del Barocco leccese meritano un cenno particolare almeno le chiese di S. Irene, di S. Chiara, di S. Matteo e del Gesù. La chiesa di S. Irene, detta anche dei Teatini, è uno degli esempi più significativi dell'architettura controriformata leccese. Fu disegnata nel 1591 da Francesco Grimaldi e portata a termine nel 1639, con un livello di sontuosità che rivela quanto fosse sentita la devozione alla santa, patrona di Lecce prima di S. Oronzo. La facciata, a due piani, richiama lo stile romano cinquecentesco: i pilastri seguono verticalmente tutta la facciata e terminano curiosamente in piccole candelabre. L'interno custodisce alcuni degli altari più fastosi della scultura barocca leccese: quello dedicato a S. Gaetano da Thiene, fondatore dell'ordine dei Teatini, e quello di S. Oronzo; dietro l'altare maggiore, il capolavoro di Oronzo Tiso: Trasporto dell'Arca santa. La seicentesca chiesa S. Chiara è stata attribuita a Giuseppe Cino, ma è più probabile che egli abbia realizzato un preesistente progetto. La facciata arcuata è divisa in due ordini e incompiuta. Nell'elegante interno, a navata unica ottagonale, sono custodite statue policrome del Cino e pitture di scuola napoletana; al di sopra delle cappelle laterali si vedono le grate attraverso cui le monache seguivano le funzioni religiose. Estranea ai modelli architettonici locali e vicina invece al modello borrominiano è la settecentesca chiesa di S. Matteo. La facciata è composta da due piani: l'inferiore convesso e con un ornato a squame, il superiore concavo e perfettamente liscio; sono invece tipici del Barocco leccese i pinnacoli dall'esuberante ornamentazione. L'interno, a pianta ellittica su un'unica navata, è meno originale dell'esterno; l'altare maggiore è della scuola di Giuseppe Cino; pregevole anche il seicentesco gruppo ligneo della Pietà, proveniente da Venezia. All'altro, potente ordine controriformato che operò a Lecce, quello dei Gesuiti, si deve l'edificazione della chiesa del Gesù (1575), progettata dal gesuita comasco Giovanni De Rosis sul modello dell'omonimo luogo di culto romano, come si desume facilmente dalla facciata, articolata su due ordini, e dall'interno a croce latina, aula unica vasta e luminosa che ben interpreta lo spirito della Controriforma, volta alla devozione collettiva e alla predicazione. Il sofisticato altare maggiore è di Giuseppe Cino. Una vera e propria teoria di altri edifici di culto barocchi caratterizza la via Libertini, sulla quale affacciano chiese di minore maestosità architettonica, ma non per questo meno interessanti. La prima che vi si incontra è la chiesa di S. Teresa, iniziata attorno al 1620 da Cesare Penna e proseguita da Giuseppe Zimbalo, che realizzò anche uno degli altari. Segue, poco avanti, S. Anna, risalente alla seconda metà del XVII secolo. La chiesa del Rosario, infine, ricostruita nel 1691 su un precedente edificio trecentesco, fu l'ultima opera di Giuseppe Zimbalo e rappresenta la sintesi ideale di tutta la vita artistica; a croce greca attorno a un vano ottagonale, innovativo rispetto alle precedenti realizzazioni dello Zimbalo, impostate su un impianto longitudinale, ricorda nella facciata la basilica di Santa Croce; nell'interno, dai ricchi altari, il pulpito è l'unico in città a essere realizzato in pietra leccese. Al di fuori dell'antica cerchia di mura sorge la chiesa dei Ss. Nicolò e Cataldo con l'annesso convento degli Olivetani, una delle sedi universitarie della città. Furono entrambi edificati nella seconda metà del XII secolo per volere di Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce e ultimo re dei Normanni. Dell'originale facciata romanica, cui nel 1716 Giuseppe Cino aggiunse motivi barocchi, restano il rosone e la raffinata decorazione vegetale che incornicia il portale. Edificio difensivo di grande mole e notevole interesse storico è il Castello, frutto della ristrutturazione di un'analoga costruzione normanna. Voluto da Carlo V e realizzato nel 1539-49 da Gian Giacomo dell'Acaja (che morì proprio nelle sue segrete), il Castello è a pianta trapezoidale, con un sistema di cinta bastionata fra i più innovativi dell'epoca, in grado di far fronte alle nuove tecniche offensive basate sull'uso delle armi da fuoco. Due entrate (a est la Porta falsa, a Ovest la Porta reale) davano accesso all'interno, più volte rimaneggiato: la parte più antica resta un mastio quadrangolare di epoca angioina (prima metà del Trecento), al di sotto del quale è una delle due cappelle del fortilizio. Fondato nel 1868 dal duca Sigismondo Castromediano di Cavallino, il Museo Provinciale "Sigismondo Castromediano" è stato il primo Museo della Puglia. Vi si trova un'interessante sezione archeologica organizzata in chiave didattica, impostazione più adatta a valorizzare i reperti e a illustrare la storia della Puglia dall'Età del Bronzo al tardo Impero romano. I reperti più importanti sono le ceramiche: vasi attici a figure nere del VI secolo a.C. e figure rosse del V a.C., vasi italioti, àpuli del V-IV a.C., messàpici, ceramica di Gnathia; notevoli anche le raccolte di terrecotte, statuette fittili, iscrizioni messàpiche e romane; nella sezione dedicata alla Lecce romana spiccano le statue in marmo (Amazzone ferita, Ares, Athena con lo scudo) che decoravano il teatro. Dell'istituzione fanno anche parte una Pinacoteca, con dipinti dal XV al XVIII secolo (polittico di Bartolomeo Vivarini, bozzetti di Corrado Giaquinto) e tele pregevolissime (Vergine tra i Ss. Benedetto e Ignazio) di Oronzo Tiso, e la Biblioteca Provinciale "Nicola Bernardini". Altra rilevante istituzione museale della città è il Museo missionario cinese e di Storia naturale, con l'annessa Pinacoteca Museo "Roberto Caracciolo". Il Museo missionario custodisce interessanti avori e mobili; di particolare interesse una consistente collezione di farfalle provenienti dall'isola di Formosa. Nello stesso edificio, che ingloba un ninfeo del XV secolo, è anche la Pinacoteca Museo "Roberto Caracciolo", con opere realizzate dai Francescani nel Salento. Nell'immediato circondario di Lecce vi sono tre luoghi particolarmente ricchi di storia e strettamente collegati alle vicende del capoluogo: l'abbazia di S. Maria di Cerrate, l'area archeologica di Rudiae e il borgo di Acaia. Isolata nella campagna, a circa 17 km da Lecce, l'abbazia di S. Maria di Cerrate costituisce un mirabile esempio di architettura religiosa medievale. Costruita probabilmente nei primi anni del XII secolo forse per interessamento di Tancredi d'Altavilla (è già citata in documenti risalenti al 1113), nel Cinquecento l'abbazia fu saccheggiata dai turchi e abbandonata. Restaurata nelle sue eleganti forme romaniche nel 1965, la chiesa presenta un portale scolpito e un protiro (XII-XIII secolo), mentre nell'attiguo chiostro si possono ammirare le colonne dai capitelli riccamente lavorati (XIII secolo). Tra il XII e il XIV secolo l'interno dell'abbazia fu interamente ricoperto di affreschi bizantineggianti, ai quali ne vennero sovrapposti altri di gusto rinascimentale (fine XV secolo). Nella masseria, l'antico convento modificato nei secoli, è collocato il Museo delle Arti e Tradizioni popolari del Salento, che conserva arredi, utensili e ambientazioni tipiche delle popolazioni della Terra d'òtranto. L'area archeologica di Rudiae, a tre km dal capoluogo in direzione Sud-Ovest, è ritenuta il sito originario dell'attuale città di Lecce. L'abitato, di origine messàpica, fu municipium romano (vi nacque il poeta Ennio) e venne distrutto nel XII secolo. Nell'area archeologica si vedono ancora tracce di mura, un ipogeo e tombe messàpiche, resti di una fontana monumentale, strade lastricate, un anfiteatro ed edifici di età romana; la maggior parte dei reperti è stata trasferita nel Museo provinciale di Lecce. A Est del capoluogo e distante da esso circa 13 km sorge il suggestivo paesino di Acaia. Di chiara impronta aragonese, nel Duecento fu donato da Carlo II d'Angiò alla famiglia dell'Acaja. Attraverso la Porta Terra, che si apre nella cinta muraria eretta nel 1535 da Gian Giacomo dell'Acaja, si entra nel nucleo antico dove domina la mole del Castello aragonese, costruito nel 1506 e munito di torrioni. Morto Gian Giacomo in miseria, il feudo passò di mano in mano e il Castello cadde poco a poco in abbandono. LA PROVINCIA. La provincia di Lecce (817.398 ab., 2.759 kmq) occupa il territorio più a Sud della penisola salentina ed è compresa fra il Mare Adriatico e il Mare Ionio. La penisola salentina appare come un vero e proprio ponte gettato verso l'Oriente. Una traccia, questa, ben presente non solo nella storia e nell'architettura, ma anche nella natura - che annovera numerose specie vegetali presenti anche sull'altra sponda dell'Adriatico - nella lingua e nella gastronomia. Oggi questa vicinanza all'Oriente si fa sentire a causa degli sbarchi clandestini, oggettivamente favoriti dallo stretto braccio di mare costituito dal canale d'òtranto. Secondo la leggenda, a occupare per primi il Salento furono proprio i salentini, provenienti forse dal mare e stanziatisi in epoca preistorica sul versante occidentale della penisola (dal nome del loro re, Sale, deriverebbe Salento). La costa adriatica, scoscesa e di difficile accessibilità, è stata per molti anni risparmiata dal turismo di massa: il mare del litorale orientale si è quindi mantenuto integro e assai pescoso. Più forte l'antropizzazione sul versante jonico, basso e sabbioso (ma non mancano piccole insenature protette), tale da favorire lo sviluppo dell'industria turistico-alberghiera nelle località balneari lungo la costa. Molto forte, nella provincia, rimane l'agricoltura, che produce olio, tabacco, vino, cereali, fichi, mandorle e ortaggi. Altra importante risorsa economica è la pesca. L'agricoltura alimenta l'industria della trasformazione. Altre industrie sono quelle estrattive, del cemento, dei laterizi, del tessile, dell'abbigliamento. Fra i centri principali ricordiamo: Copertino, Galatina, Galatone, Gallipoli, Maglie, Nardò, Otranto, Santa Cesarea Terme, Squinzano. Taranto(209.297 ab.). La città di Taranto è situata nel punto più interno del golfo omonimo. è la seconda città della Puglia per numero di residenti. La compongono due parti ben distinte: la città vecchia, detta Isola perché sorge su un'isola artificiale creata nel 1480 tagliando l'istmo che la collegava alla terraferma, e la città nuova con impianto a scacchiera, sorta sull'area dove si trovava l'antica colonia laconica. La città è bagnata a Nord da un'ampia laguna a due bacini, detto Mar Piccolo, e a Sud dal mare aperto, detto Mar Grande, collegati fra loro da un canale naturale e da uno artificiale, creato appunto nel XV secolo tagliando l'istmo e ampliato poi nell'Ottocento. Entrambi i canali sono attraversati da ponti: il canale naturale è sormontato da un ponte di pietra, quello artificiale da un caratteristico ponte girevole in ferro. Taranto è un porto commerciale e militare; perpetua inoltre la vocazione marinara nella flotta di pescherecci di media stazza e nell'Arsenale, coinvolto però nella sfavorevole congiuntura di buona parte dei cantieri navali italiani. L'area industriale, dominata dalla presenza delle acciaierie e di grossi gruppi multinazionali (raffinazione di petroli e cemento), si è trovata ad affrontare gravi difficoltà: l'Italsider ha subito negli anni Ottanta del XX secolo la crisi della siderurgia in Italia, con pesanti contraccolpi sull'economia cittadina.STORIA. Taranto fu fondata verso il 700 a.C. da coloni spartani proveniente dalla Laconia, tuttavia i ritrovamenti compiuti in località Scoglio del Tonno, presso la stazione ferroviaria, testimoniano che il sito era abitato già in età protostorica; il toponimo Taras sembra in effetti un'eredità dei messapi, popolo italico che qui abitava prima dell'arrivo dei greci. Grazie alla sua posizione geografica che la rendeva facilmente difendibile e nello stesso tempo favoriva il commercio, Taranto divenne la più potente città della Magma Grecia. L'egemonia greca introdusse uno stile di vita assai progredito. Nel IV secolo a.C. la città contava circa 300.000 abitanti e aveva esteso la sua supremazia sul Metaponto e sulla pianura di Siri. Allo sviluppo economico e demografico si accompagnò anche una fervida attività culturale. Furono fondate prestigiose scuole filosofiche, la cui fama travalicò i confini locali; a Taranto nacquero il filosofo Archita, amico di Platone, e il poeta e tragediografo Livio Andronico. Il governo della cosa pubblica avveniva nello spirito democratico di Pitagora, osservato anche nelle sottocolonie fondate come Gallipoli. Ma la potenza militare di Roma incombeva. Nel 281 a.C. le navi romane entrarono nel porto e assediarono la città con il pretesto di portare aiuto all'alleata Thurii: nonostante l'alleanza con Pirro, nel 272 a.C. la resistenza di Tarentum (così fu rinominata dai vincitori) fu vinta. Nel 212 a.C. la città si alleò con Annibale nel tentativo di riconquistare l'autonomia, ma fu definitivamente sconfitta da Quinto Fabio Massimo. Durante la dominazione romana Taranto divenne luogo di soggiorno dorato per i ricchi; inoltre poeti come Orazio, Virgilio, Properzio e Tibullo vennero qui a ispirarsi. Le invasioni dei Goti, dei Longobardi e dei Saraceni causarono alla città terribili devastazioni e saccheggi - particolarmente feroce fu la distruzione operata dai Saraceni del 927 - finchè nel 961 l'imperatore bizantino Niceforo II Foca la conquistò, ricostruendo l'abitato sull'Isola (l'attuale città vecchia) e facendone un forte centro militare contro i Normanni. Il re normanno Roberto I il Guiscardo se ne impadronì comunque nel 1063. Ai Normanni seguirono gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi. Taranto conobbe un periodo di autorevolezza e benessere come capoluogo dell'omonimo principato e come tale passò, nel 1463, al Regno di Napoli. Nel 1480 fu realizzata la già citata opera di taglio dell'istmo che separò dalla terraferma il centro abitato, onde renderlo meno accessibile alle incursioni turche. Nel breve periodo napoleonico (1801-1815) furono sfruttate le potenzialità della città quale base navale contro le flotte inglesi e russe. Nel 1861 Taranto entrò a far parte del Regno d'Italia che ne promosse la rinascita confermandola come base navale e facendone sede dell'Arsenale militare (1883). Iniziò allora lo sviluppo della città nuova, secondo la classica pianta ortogonale, là dove si stendeva l'abitato laconico; nel 1914 venne fondato il cantiere navale. Il secondo dopoguerra fu contrassegnato dalla creazione del polo siderurgico e dall'esplosione edilizia incontrollata, che ha cementificato gran parte delle antiche testimonianze. All'inizio del XXI secolo Taranto deve affrontare i problemi legati alla crisi economica e all'alto tasso di disoccupazione operando un rilancio basato sulla riconversione industriale e su un compatibile, oculato sfruttamento turistico del proprio litorale. ARTE. Le felici caratteristiche naturali del territorio tarantino hanno fatto sì che esso venisse abitato fin dalla preistoria. In seguito allo sbarco dei coloni greci Taranto poté diventare una ricca e potente città della Magna Grecia, mentre nel resto della Puglia le popolazioni locali guerreggiavano ancora fra loro. Le testimonianze del grandioso passato di Taranto sono conservate nel Museo archeologico nazionale, la cui raccolta costituisce la più ampia documentazione sull'arte e sulla civiltà della Magna Grecia. L'Isola è il centro storico di Taranto, lentamente recuperato da un gravissimo stato di degrado e abbandono. La caratterizzano i "pittaggi", ovvero i vecchi quartieri intersecati da vicoli strettissimi, con tante scalinate e con palazzi addossati gli uni agli altri, immersi in una suggestiva atmosfera mediterranea. Sull'Isola si concentrano le maggiori testimonianze architettoniche del passato, a cominciare dalle tre colonne scanalate che sono ciò che resta del tempio dorico dedicato a Poseidone (VI secolo a.C.), uno dei più antichi magnogreci insieme a quello di Siracusa, e uno dei pochi resti visibili della colonia spartana. Principale monumento di epoca medievale è il Duomo, una delle più antiche chiese romaniche della Puglia essendo stata costruita nel 1071-1072 e dedicata a S. Cataldo, patrono della città. Tuttavia solo i fianchi esterni della chiesa conservano tracce del primitivo edificio, mentre la facciata è stata rifatta in stile barocco nel 1713 da Mauro Manieri, e il campanile è un rifacimento quattrocentesco. L'interno presenta 16 colonne con capitelli bizantini e romanici. Prezioso il cappellone di S. Cataldo, che lo storico Ferdinand Gregorovius definì di "una ricchezza abbagliante", per le statue, gli affreschi e le tarsie marmoree che datano dal Cinquecento al Settecento; imponente e incrostato di pietre preziose è anche l'altare, dietro il quale sono conservate le reliquie del santo, vescovo di Rachan in Irlanda. Per una scalinata si accede alla cripta dell'XI secolo, divisa in due navate originariamente affrescate; restano solo alcuni frammenti, raffiguranti S. Cataldo, la Vergine e altri santi. Un altro notevole edificio romanico è la chiesa di S. Domenico Maggiore, costruita nel 1302 sulla chiesa bizantina di S. Pietro Imperiale (da qui l'altro nome con cui il luogo di culto è noto), a sua volta sorta, ai tempi di Niceforo II Foca, su un tempio antico. Introdotta da una scalinata barocca, la facciata ha mantenuto l'elegante portale ogivale con baldacchino e lo squisito rosone; barocchi sono invece gli altari delle cinquecentesche cappelle all'interno, decorate di marmi policromi. Imponente edificio civile della città vecchia è il Castel S. Angelo, fortezza costruita nel X secolo dopo la terribile invasione turca per difendere meglio la città dalle incursioni nemiche provenienti dal mare. L'attuale aspetto si deve agli interventi effettuati nel 1492 per volere di Ferdinando d'Aragona, e nel 1577; nel Settecento fu utilizzato come carcere e dal 1887 è sede del Comando della Marina militare. è di forma quadrangolare con quattro torrioni cilindrici, ornati da archetti e beccatelli e collegati tramite cortine a possenti baluardi. Settecentesco è il Palazzo Pantaleo, affacciato sul Mar Grande; fu costruito da Francesco Miraglia per il barone Francesco Pantaleo di Palagiano. Superato l'ingresso, una grande e scenografica scalinata a doppia rampa conduce agli appartamenti padronali dagli splendidi pavimenti in maiolica tuttora conservati. In alcune sale sono visibili opere pittoriche di Domenico Carella. Dal lungomare dell'Isola (oggi corso Vittorio Emanuele II) è possibile vedere in lontananza le isole Chèradi. Pur essendo vicinissime alla costa e sedi di impianti militari, sono naturalisticamente intatte: S. Paolo, la più piccola, ha una superficie di sei ettari; S. Pietro, estesa su 113 ettari, prende nome da una badia basiliana, ora distrutta, dedicata al santo. Alla Taranto moderna si accede attraverso il ponte girevole, una delle opere-simbolo della città; ricostruito nel 1958, è formato da due bracci mobili gettati sul canale navigabile, permettendo l'ingresso e l'uscita delle navi. Sul lungomare Vittorio Emanuele III si affaccia una serie di imponenti palazzi che risalgono in buona parte al regime fascista. Tra questi il Palazzo della Prefettura, disegnato da Armando Brasini, il Palazzo della Banca d'Italia di Cesare Bazzani, autore anche del Palazzo delle Poste, dove sono conservati diversi elementi architettonici databili all'età imperiale. Nella città nuova si trova anche Villa Peritato, uno dei pochi polmoni verdi della città, donato al comune dai proprietari con l'unica condizione che non se ne modificasse la destinazione d'uso; ricco di palme e di pini, nasconde i resti di una villa di età romana imperiale. La maggiore istituzione museale tarantina - e la maggiore dell'Italia meridionale dedicata al mondo antico dopo quella di Napoli - è il Museo archeologico nazionale, istituito nel 1887 nel convento degli Alcantarini annesso alla chiesa di S. Pasquale di Baylon, poi ingrandito e risistemato a partire dal 1903. Di particolare rilievo sono le collezioni di ceramiche e le oreficerie, nonché alcuni esemplari di statuaria sia in bronzo che in terracotta. La sezione preistorica presenta manufatti del Paleolitico, Neolitico, Eneolitico, prima età dei Metalli, Età del Bronzo, Età del Ferro. Del periodo paleolitico sono i reperti provenienti dalla Grotta dei Cervi e le due sculture realizzate in osso che rappresentano divinità femminili, provenienti dalla grotta delle Veneri, nel comune di Parabita. Del Neolitico si segnalano una coppa a decorazione graffita e impressa (dalla grotta di Sant'Angelo di Ostuni) e una scultura raffigurante la dea madre (dalla tomba a grotticella di Arnesano). Da una grotta presso Santa Cesàrea Terme viene invece un modellino di casa-tempio con decorazione graffita. Accette, pugnali e piccoli utensili documentano l'Eneolitico e vari prodotti metallurgici l'Età del Bronzo. La sezione classica raccoglie manufatti che datano dal VII secolo alla fine del I secolo a.C. Fra i principali reperti ricordiamo i celebri corredi funerari delle tombe tarantine (VII-VI secolo a.C.), generalmente di importazione corinzia e di altre fabbriche greche e asiatiche; di grande interesse le tombe degli atleti e gli oggetti ivi contenuti, in particolare i vasi ceramici decorati con soggetto attinente all'esercizio sportivo praticato dal defunto. Famose poi le coppe laconiche, tra le quali spiccano quella con tonni e delfini (VI secolo a.C.) e la coppa a figure nere con Zeus e l'aquila (580-510 a.C.). Alla ceramica attica segue la copiosissima produzione vascolare àpula a figure rosse e quella cosiddetta sovradipinta, rappresentate tra l'altro da una vaso a figure rosse con Afrodite che allatta Eros (metà IV secolo a.C.). Di epoca romana sono la raffinatissima testa di Artemide in marmo pario (I secolo a.C.), alcune bottiglie di vetro, un cippo funerario che raffigura una testa maschile e altri pezzi di buona fattura. Da segnalare la collezione di terrecotte votive, tra le quali le tre terrecotte funerarie che riproducono rispettivamente la nascita di Afrodite (fine IV secolo a.C.), un gladiatore (fine I sec. a.C.) e un lettore di papiro (I sec. a.C.-I sec. d.C.). LA PROVINCIA. La provincia di Taranto (588.902 ab., 2.437 kmq) occupa la piana tarantina sovrastata dalle ultime propaggini delle Murge, che si dispongono ad anfiteatro parallelamente alla costa e hanno nel monte Bagnolo la massima vetta (124 m). Da queste alture scendevano a valle corsi d'acqua che nel corso dei secoli hanno scavato profondi burroni, dette gravine o lame. A questa suggestiva presenza naturale se ne affianca un'altra, di carattere storico: le grotte - o laure -, utilizzate come santuari o abitazioni dai monaci basiliani venuti dall'Oriente, nel Medioevo, in cerca di rifugio dopo essere sfuggiti alle persecuzioni iconoclaste. In queste basse grotte di origine carsica dove si possono trovare affascinanti affreschi bizantini, tuttavia, si era già sviluppata, fin dalla preistoria, la cosiddetta civiltà rupestre, che trova i più significativi esempi attorno a Massafra e a Mòttola. Accanto al territorio aspro che caratterizza la parte più a Nord della provincia e a quello noto come valle d'Itria, la provincia tarantina comprende il litorale ionico del golfo di Taranto, noto fin dai tempi di Orazio che ne esaltò il clima, il vino e il miele. Dagli anni Sessanta del XX secolo lo sviluppo delle seconde case ha profondamente - e spesso irreparabilmente - intaccato l'ecosistema del golfo di Taranto. Tuttavia esistono ancora tratti di costa caratterizzate da spiagge sabbiose costellate da calette e bagnate da un mare cristallino, intervallate da piccoli promontori rocciosi. Punto forte dell'economia di questo territorio è l'agricoltura, fondata essenzialmente su viticoltura, olivicoltura, agrumeti, ortaggi, mandorle, fichi, tabacco. Importante il settore zootecnico, per quanto riguarda sia i cavalli che gli asini martinesi, una razza autoctona. Attiva è la pesca; inoltre nel Mar Piccolo e nel Mar Grande esistono consistenti impianti di mitilicoltura. Nel settore artigianale spicca Grottaglie, per le famose manifatture della ceramica. Le industrie più importanti sono quelle alimentari, tessili, dell'abbigliamento, del legno, le manifatture di tabacco. Fra i centri principali ricordiamo: Castellaneta, Ginosa, Grottaglie, Manduria, Martina Franca, Massafra, Mottola, Sava. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. 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